Lo scorso 5 agosto è approdata su Netflix The Sandman, una nuova serie TV fantasy, adattamento dell’omonimo fumetto di Neil Gaiman, che per anni ha sognato di portare sullo schermo. Fin dal primo trailer si è accesa nelle menti dei fan la famosa spia rossa che ogni secondo recita: “fa che non sia un disastro, fa che non sia una cozzaglia di cose messe a caso.” Ma grazie al coinvolgimento di Gaiman nella produzione, affiancato da David S. Goyer (sceneggiatore di film come Blade, Batman Begins e L’uomo d’acciaio) e Allan Heinberg (creatore del fumetto Young Avengers e sceneggiatore del film Wonder Woman), Netflix ha mantenuto le aspettative dei fan del fumetto apportando modifiche poco invasive.
Un adattamento abbastanza fedele al fumetto
Pubblicato fra il 1988 e il 1996 per la DC Comics (da un certo punto in poi sotto l’etichetta Vertigo), The Sandman è una saga a fumetti scritta da Neil Gaiman, che recupera un vecchio personaggio DC per rilanciarlo, dargli nuova veste, e infonderlo di tutto ciò che ha reso Neil Gaiman l’attuale Neil Gaiman: l’amore per la mitologia, l’incastro di storie provenienti da culture diverse, una graphic novel in cui la parola scritta conta molto più dei disegni (realizzati da matite diverse nel corso degli anni), usati esclusivamente per illustrare la forza poetica dei testi.
La prima stagione di The Sandman adatta i primi due volumi del fumetto e comincia proprio come chi arriva dai fumetti s’aspetta: Morfeo (Tom Sturrige), il re dei sogni, è prigioniero di un incantesimo di confinamento lanciato da Roderick Burgess (Charles Dance), un mago dilettante rivale di Aleister Crowley, che è convinto di aver intrappolato la Morte. Dopo un secolo di prigionia, Morfeo riesce a scappare ma la sua lunga assenza ha causato enormi problemi: il suo regno, le Terre dei Sogni, è diventato una landa desolata in continuo decadimento e molti umani in tutto il mondo sono caduti in un sonno profondo, incapaci di svegliarsi.
Per sistemare le cose il signore dei sogni deve recuperare le forze e i suoi oggetti magici trafugati: l’Elmo, la Sabbia e il Rubino.
Cambiamenti poco invasivi
Come accade per ogni adattamento, The Sandman ha subito qualche cambiamento rispetto all’opera originale. In primis alcuni personaggi sono stati tagliati fuori, in parte per motivi di copyright, in parte per mancanza di spazio nella sceneggiatura. Altri invece sono stati modificati per una maggiore diversità etnica e di genere, rendendo la serie più inclusive.
Per quanto l’operazione sia tecnicamente forzata (ormai è uno standard per tutte le serie targate Netflix), è anche molto ben riuscita. Infatti per alcuni personaggi genere e colore non hanno effettivamente importanza, alcune scelte appaiono perfino sorprendenti (come Gwendoline Christie, la cara Brienne di Game of Thrones, nel ruolo di Lucifero) e in alcuni casi il cambiamento sembra perfino giovare alle dinamiche in gioco, come la scelta di trasformare il famoso John Constatine in Johanna Constantine, che interpretata da Jenna Coleman (Doctor Who, Victoria, The Serpent) diventa un personaggio pieno di carisma e molto divertente.
Uno stile controcorrente
Un interessante aspetto di The Sandman è la sua struttura narrativa. Il fumetto infatti non ha un’architettura narrativa ben definita, viveva della sua imperfezione, dell’aggiustarsi numero dopo numero per reinventarsi ogni mese. Non a caso, il disegnatore dei primi numeri, Sam Kieth, descrisse l’esperienza come «Jimi Hendrix che suona nei Beatles».
La serie tv cerca di catturare l’essenza di questa struttura, rimanendo leggermente più coerente e unitaria. Rappresenta quasi un’antologia, dove una storia principale effettivamente esiste, ma c’è anche lo spazio per veri e propri racconti a sé stanti (come l’incontro con l’immortale Hob Gadling) o in cui Morfeo appare poco o non appare per nulla, lasciando spazio allo sviluppo di altri personaggi.
Un valido esempio di questa struttura è il quinto episodio della serie, in cui il vero protagonista è John Dee (interpretato dal sempre fantastico David Thewlis), che in una tavola calda costruisce una specie di esperimento sociale sulla verità, le bugie, e le conseguenze degli istinti umani. Oppure il nono, in cui buona parte dell’azione è ambientata in un convegno di serial killer in cui Morfeo è un protagonista abbastanza lontano dal centro della scena.
Un altro punto interessante è la questione dei villain. Nelle serie antologiche solitamente c’è un cattivo diverso ogni puntata, oppure nei moderni serial viene fissato un antagonista principale. The Sandman ignora completamente questi schemi. Abbiamo numerosi malvagi, che però cambiano continuamente posizione e importanza relativa: alcuni rimangono per tre puntate, altri si prendono la scena finale pur essendo comparsi giusto una o due volte nel corso dei dieci episodi, altri ancora raggiungono vette di grande carisma per poi sparire, letteralmente, nella polvere.
Personaggi, storie e sogni confusi
Questo spezzettarsi in episodi quasi autonomi fa apparire la serie a tratti dispersiva. Un continuo introdurre nuovi personaggi che sembrano importanti e che, invece, poi non tornano nel seguito. Stessa impressione si ha con gli antagonisti di Morfeo che si alternano senza che sia chiaro a chi vada attribuito il titolo di villain della serie. Difetti che, in realtà, sono tali solo ad una lettura superficiale. Ogni storia, ogni personaggio, ogni dialogo, ogni avventura anche minima contribuisce a definire il carattere di Morfeo. A costruire il suo mondo interiore attraverso le esperienze che umani, sogni e incubi gli regalano.
The Sandman diventa così una collezione di storie che costruiscono un affascinante universo di personaggi indimenticabili, luoghi immaginari e temi profondi.
La superbia di Roderick Burgess che si illude di poter controllare la Morte. L’entusiasmo irrefrenabile di Hob Gadling che ogni cento anni racconta a Morfeo di gioie e dolori, ma soprattutto del desiderio inestinguibile di andare sempre avanti. La furia vendicativa e la cupidigia di Ethel Cripps, neutralizzata dall’amore per un figlio traditore. La violenza rabbiosa di John Dee che non esita a distruggere il mondo pur di realizzare un distorto ideale di sincerità ad ogni costo senza capire come una bugia possa essere innocente se nasce da una salvifica empatia.
Il finto cinismo di Johanna Constantine che fa il bene quasi contro voglia per non ammettere a sé stessa e agli altri che così sta espiando un peccato che non ha il coraggio di confessare. Il coraggio di cambiare di Creta, creatura nata come incubo ma che desidera essere invece un sogno.
La generosità altruistica di Rose Walker, sempre pronta a mettersi a disposizione degli altri, come Lyta che ha perso il marito, Hal che sogna di essere una drag queen, le sorelle Chantal e Zelda nel loro gotico mutismo, i sorridenti Ken e Barbie persi a interpretare la finzione dei loro alter ego giocattolo.
Tutti questi personaggi concorrono a rendere The Sandman un ritratto onnicomprensivo della natura umana, senza contare poi il modo in cui Gaiman reinventa alcune figure mitologiche, in particolare la Morte, alla quale è dedicato uno degli episodi più delicati della serie.
A dare man forte ci pensano ovviamente le magnifiche scenografie, la fotografia e gli effetti visivi, capaci di rendere reali le visioni oniriche e confuse dei sogni e le atmosfere cupe degli incubi.
Conclusioni
In conclusione The Sandman poteva essere un disastro annunciato, una mera operazione commerciale. Invece si è dimostrata un prodotto più che valido, sia per la critica che per il pubblico. La serie è dunque il risultato di un autore che rifà una sua vecchia opera aggiornandola alla contemporaneità, senza però tradirne l’originalità.
Citando il protagonista Morfeo: “ciò che viviamo nel mondo dei sogni determina ciò che facciamo in quello della veglia”. In troppi avevamo sognato che la serie fosse un adattamento sincero e non uno stravolgimento dell’opera fumettistica. Fortunatamente i sogni qualche volta diventano realtà.